Il “minari” è una piantina coreana che, come confida “nonna Soon-ja” al nipotino David, è resistentissima, e può crescere ovunque ed ha assolutamente ragione: la piantina crescerà, rigogliosa, in un piccolo spazio all’interno di un bosco nell’Arkansas…
Un’azzeccata metafora sulle vicende della famiglia protagonista della storia, una famiglia di origine coreana che ha lasciato la California per spingersi più a sud, nel Midwest, in Arkansas, per inseguire il sogno del capofamiglia, convinto di poter dare più solidità alla sua famiglia costruendo proprio lì una fattoria con un grande appezzamento di terreno da destinare alla coltivazione di ortaggi coreani.
Un potenziale mercato di successo considerata le migliaia di cittadini coreani che ogni anno emigrano negli Stati Uniti.
Anche qui la metafora è evidente, tra le radici da piantare in un terreno che si era già mostrato ostile agli agricoltori precedenti ed una coppia, Jacob e Monica, che ancora non è riuscita a mettere le radici in un mondo ancora lontano da quello delle loro origini e si trova catapultata in un contesto, quello rurale religioso (i “bifolchi”) dell’Arkansas in pieno reaganismo, con i piccoli agricoltori alle prese con un sistema di grande competizione.
Un film che più che interrogarsi sui problemi dell’immigrazione affronta il tema del “sogno americano”, la rincorsa di un successo attraverso un percorso che non offre mezze misure, il suo raggiungimento o il fallimento…
Jacob, nel corso di un’accesa discussione con la moglie, esprime il desiderio che i suoi figli possano almeno una volta vederlo costruire qualcosa di concreto, di successo, determinato a provarci, qualunque possa essere il prezzo da pagare…
Ed è proprio il figlio più piccolo, il cardiopatico David, a diventare pian piano il vero protagonista del film nella costruzione di un solido rapporto con nonna Soon-ja, inizialmente rifiutata dal bimbo (“sa di coreano”, “Nonna, tu non sei una vera nonna. Una vera nonna cuoce i biscotti, non dice parolacce e non si mette le mutande da uomo”).
Lo sfondo è quello di una nazione che da un lato mostra evidenti difficoltà nell’accettare le diversità e dall’altro proprio nel multiculturalismo trova uno dei suoi punti di forza…
Come spesso accade nei film coreani, anche in questo, benché realizzato da un regista coreano ormai profondamente americano, la ricchezza di sentimenti, la delicatezza e l’eleganza del racconto, con sano realismo, non portano necessariamente all’happy end”.
Nel mondo reale non si è mai nettamente dalla parte giusta o dalla parte sbagliata, ognuno mette in mostra aspetti anche poco edificanti ed alla fin fine, nella ricerca, anche non spontanea, dei giusti equilibri, ognuno perde qualcosa…
il finale, proprio nel solco della delicatezza del racconto, è decisamente “aperto”, e lascia comunque spazio alla speranza ed alla libera fantasia dello spettatore…
Insomma, se vi capita…115 minuti ben spesi…
ps: tra i vari premi, 6 candidature agli Oscar 2021 e premio come miglior attrice non protagonista (Yoon Yeo-jeong, la nonna); miglior film straniero ai Golden Globe 2021.
